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23 ago 2014

La creazione dei miti cristiani e ebraici. Le scritture antiche e altro.

Questo articolo si concentra sulla mitologia e storia giudaico cristiana, ma come già detto a proposito di
Buddha, anche le sue origini sono state mitizzate e rese ultra umane, leggendo molti scritti. http://liberameditazione.blogspot.it/2012/10/chi-era-realmente-siddharta-al-netto.html

CHI E’ DIO?
Dio è l’essere perfettissimo creatore e signore del cielo e della Terra, rispondono i
credenti, è colui che dal nulla ha fatto tutte le cose e dal quale tutto procede, è l’eterno,
la bontà infinita, l’onnisciente e l’onnipotente.
Tutte affermazioni incoerenti e contraddittorie, rispondono gli atei, che non fanno altro
che confermare che una simile entità non pu? essere che una costruzione sostenuta dalla
superstizione e dall’ignoranza.
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EPICURO: “ Il male esiste, quindi di due cose l’una, o Dio ne è a conoscenza o lo
ignora:
Dio sa che il male esiste, pu? sopprimerlo ma non vuole...un tale Dio sarebbe crudele e
perverso, dunque inammissibile.
Dio sa che il male esiste, vuole sopprimerlo ma non pu? farlo...un tale Dio sarebbe
impotente, dunque inammissibile.
Dio non sa che il male esiste...una tale Dio sarebbe cieco ed ignorante, dunque
inammissibile.”
Quasi tutti i testi sacri sono stati scritti sotto falso nome d’autore, questa falsificazione
KARLHEINZ DESCHNER
STORIA CRIMINALE
DEL CRISTIANESIMO

ha percorso tutta l’antichità e fino al medioevo cristiano, della falsificazione fanno parte
anche la donazione di Costantino e le false decretali pseudoisidoriane.
Falsi letterari esistevano presso greci, romani, indiani, egizi, persiani ed ebrei, la
falsificazione era nella consuetudine, favorita dalla credulità della gente, perché il
lettore era privo di senso critico e di malizia, perciò facile da fuorviare, si definiscono
testi pseudoepigrafici quelli scritti sotto falso nome. Oggi le falsificazioni storiche e
politiche non si servono di falsi autori ma di firme note, si limitano a manipolare le
notizie, a omettere le notizie e a fare disinformazione.
La falsificazione o contraffazione presuppone l’idea di proprietà intellettuale e
d’autenticità dell’opera dell’ingegno che nell’antichità non era tutelata come oggi, così
numerosi scritti religiosi, grazie all’impostura della religione, sono entrati nella storia
delle religioni sotto falso nome.
Con il fine di fare di dare autorevolezza alla propria propaganda, vi era il costume di
porre gli scritti religiosi sotto l’autorità di nomi celebri, per dare maggiore risalto alle
proprie opinioni, mentre il vero autore rimaneva in ombra. Del resto oggi c’è l’utile e la
vanità della proprietà intellettuale, mentre allora non c’erano.
Oggi si parlerebbe di truffa letteraria, della quale però l’antichità non aveva
regolamentazione giuridica, infatti, la legislazione antica non proteggeva la proprietà
letteraria, ma solo il manoscritto. Forse da questo costume antico è nata anche la
pseudonimia moderna, che si ha quando l’autore usa un altro nome o un nome d’arte,
ma non per nascondersi. Comunque, in passato, a volte i falsi servivano anche a
legittimare altri falsi.
Presso i romani, la falsificazione letteraria non era diffusa, però nel 181 a.c. a Roma si
scoprirono dei falsi di Numa Pompilio, anche il medico Galeno (129-199) scoprì dei
falsi sotto il suo nome, nel 1583 a Venezia fu rinvenuto un falso letterario attribuito a
Cicerone, pare inoltre che Solone avesse interpolato un verso dell’Iliade, per
consolidare le sue pretese sull’isola di Salamina.
Come succede oggi con i falsi museali, anche allora con i falsi si faceva profitto, certi
testi, anche se falsi, acquistavano anche valore e soddisfacevano le richieste delle
biblioteche, come quelle d’Alessandria e Pergamo.
Poi si crearono falsi a vantaggio di una causa e di un partito o per la propagazione della
fede, a volte, invece di falsificare interi libri, s’interveniva su opere autentiche con
interpolazioni, mutilazioni, correzioni o inserendo note nel testo, questa sorte la ebbero
anche opere già nate false.
L’uomo è pervaso di paura e insicurezza verso la natura, passò dall’animismo, al culto
degli antenati, al politeismo e al monoteismo, la credulità, alimentata dai persuasori
occulti, fa il resto, infatti, Pausania ebbe ad affermare che non è facile convincere la
gente del contrario di ciò che essa è abituata a credere, anche a causa delle pregiudiziali
opzioni ideologiche, di partito o di fede.
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In oriente e nel Mediterraneo era diffusa l’idea che Dio si era rivelato con leggi scritte,
un’idea poi mutuata da ebraismo, cristianesimo e Islam. Per superare le assurdità e il
caos delle religioni, il faraone Amenofi IV (1364-1347 a.c.) cercò di sostituire il
politeismo con il culto del dio sole o Aton, da cui sembra che derivò l’Adonai degli
ebrei reduci dall’Egitto, comunque, anche in Egitto prosperò la falsificazione religiosa e
storica, naturalmente a vantaggio di alcuni faraoni contro altri faraoni deceduti.
Diceva Quintiliano, retore romano, che era impossibile confutare ciò che non era mai
esistito e che era oggetto di fede, nell’antichità, per motivi religiosi e politici, si
falsificavano anche gli oracoli e si dichiarava di aver assistito a portentosi segni divini.
Ciò malgrado, parecchi antichi ritennero gli oracoli trucchi e imbrogli, le falsificazioni
dei greci furono superate da quelle fatte dagli ebrei sulle loro scritture e questi furono
superati dai cristiani, tra i cristiani, nella battaglia per la fede, in pratica per il potere,
l’accusa di falso fu lanciata da tutte le sette contro tutte le altre.
Le scritture sacre, o ispirate da Dio, videro per la prima volta la luce in Cina, in India e
in Egitto, la letteratura sacra ebraica vide la luce dopo la cattività babilonese (6° secolo
a.c.), mentre il canone ebraico fu fissato nel 100 d.c., ad esso si legarono anche i
protestanti che rigettarono i libri deuterocanonici dei cattolici, mentre tra i cristiani,
molti gnostici rigettarono tutto il vecchio testamento in blocco.
La bibbia ebraica fu proceduta dalla tradizione orale e da altri libri smarriti, come il
“Libro degli svegliati”, “Il libro delle guerre di Geova” e “Lo scritto del profeta Iddio”,
citati nel vecchio testamento, anche il nuovo testamento cristiano fu preceduto dalla
tradizione e da diversi vangeli, arrivati a noi incompiuti o in alcuni brani, perché
distrutti dall’opera censoria della chiese cattolica.
L’esistenza degli antichi patriarchi ebrei non è documentata da nessuna parte, Erodono
(V secolo a.c.) ignora totalmente Mosè, l’unica fonte su di lui, come su Noè, su Abramo
e Gesù è la bibbia, non si conosce la tomba di Mosè, anche se i monaci cristiani di
Palestina tentarono di spacciarne una, com’è accaduto a Roma per la tomba di Pietro.
I libri biblici sono stati attribuiti a personaggi eminenti delle storie raccontate, però sono
opera di più persone, restate anonime e comunque legate alla casta sacerdotale, la chiesa
cattolica ha sempre combattuto la libertà in queste indagini e Pio XII nel 1906 sostenne
la paternità di Mosè sul Pentateuco, che in realtà questa è opera di più persone, che
scrissero nel corso di più generazioni, diverse da Mosè.
Nel vecchio testamento, come nel nuovo, ci sono strane ripetizioni e contraddizioni, che
si spiegano solo con generazioni d’autori diversi, come una doppia storia della
creazione, una doppia genealogia di Adamo, un doppio diluvio, anche re Davide a volte
non sembra un personaggio storico, perché non è riportato sui testi storici, perciò le
opere letterarie attribuite a lui, come i salmi, sono opera d’altre persone. La storia o mito
di Davide assomiglia al mito di Romolo.
Salomone fu un grande costruttore però, con le tasse e il lavoro forzato portò Israele alla
decadenza e alla divisione, nemmeno le opere letterarie attribuite a Salomone sono
opera sua, forse nacquero in epoca ellenistica, perciò il suo libro, l’Ecclesiaste, divenne
canonico solo nel 96 d.c., a Salomone sono stati anche attribuiti degli apocrifi.
Il libro di Giusuè è d’autore ignoto, databile nel VI secolo a.c., all’epoca dell’esilio
babilonese, inoltre ha subito aggiunte e rimaneggiamenti, il libro d’Isaia è stato prodotto
da diversi autori e fu completato nel 180 a.c., la maggior parte nacque sotto Alessandro
Magno (336-323 a.c.), il libro d’Ezechiele fu rimaneggiato e solo un quinto appartiene
ad un autore originale.
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Il libro di Daniele fu composto al tempo di Antioco Epifanie (164 a.c.), mentre Daniele
era vissuto nel VI secolo a.c. alla corte di Babilonia, il suo libro è l’apocalisse più antica
e un’evoluzione dell’escatologia ebraica.
I libri apocalittici degli ebrei sono stati composti da autori sconosciuti e poi attribuiti ad
altri, come i falsi artistici, riportano sogni, estasi, rapimenti e catastrofi, anche i libri di
Baruch sono falsi, furono redatti mezzo millennio dopo l’esistenza del profeta Baruch e
finiti nel 50 d.c. Le falsificazioni avvenivano, malgrado l’avvertimento che falsificare la
bibbia era un delitto.
Anche gli oracoli sibillini e le profetesse greche invasate raggiravano i credenti, i 14
libri degli oracoli sibillini furono falsificati, poi, come gli ebrei si richiamavano alla
sibillistica pagana, i cristiani si richiamarono a quell’ebraica.
Anche i libri cristiani, apocrifi o canonici, furono interpolati e rimaneggiati, la
sofisticazione doveva sostenere una fede e confutare gli avversari, le falsificazioni
nacquero fin all’inizio e non cessarono mai, anche se qualcuno, per accertare i fatti, ha
tentato di risalire alla fonte, perché si crede che l’acqua più pura sgorga alla fonte, non
sa però se ciò valga per la religione, inoltre quest’opera è impossibile perché ci
mancano gli originali.
La storicità di Gesù non è attestata né da Svetonio, né da Plinio il Giovane, né da Filone
e né da Giusto di Tiberiade, l’unica fonte è il nuovo testamento. Gesù credeva
all’imminente fine del mondo, per lui la sua generazione doveva essere l’ultima, dopo la
morte di Gesù si attese il suo ritorno, egli non venne ed al suo posto s’installò la chiesa.
A volte sembra che il cristianesimo si sia prodotto nella tradizione, senza un’esistenza
provata di Gesù.
Per tutto il II secolo non ci fu canone fisso dei vangeli, ogni chiesa aveva il suo vangelo
e i racconti sulla vita di Gesù, Marcione accoglieva solo il vangelo di Luca e le lettere di
Paolo. Il primo libro dei giudeo-cristiani fu il libro degli ebrei, Clemente d’Alessandria,
morto nel 215, usava indifferentemente il vangelo degli egizi, quello degli ebrei ed i
vangeli canonici.
Dopo diversi concili, nel IV secolo fu fissato il canone cattolico ed il concilio di Trento
del 1546 confermò definitivamente il canone. Non possono essere ispirati i vangeli,
perché sono pieni di contraddizioni, i cristiani dopo le scritture, presero a falsificare
anche le risoluzioni conciliari e i trattati, ciò malgrado, la chiesa ha garantito
l’autenticità dei testi e l’ispirazione divina del canone.
Non possediamo l’originale di nessuno scritto della bibbia, il più antico libro di Marco è
stato scritto in lingua latina, che Marco non conosceva, però sono arrivati a noi
frammenti di papiri che risalgono al III secolo a.c.
Anticamente i libri erano manoscritti e i copisti, a volte, mentre copiavano facevano
delle manipolazioni o inserivano delle note nel testo, anche per enfatizzare, ciò
accadeva soprattutto nei primi secoli dell’era volgare.
Le frodi ingannavano i lettori, anche perché questi libri erano considerati ispirati,
s’ingannavano i lettori sul nome dell’autore, sul luogo e sul tempo della stesura e
s’inventavano i fatti, facendoli passare per rivelazioni.
I falsi furono fatti anche per creare una dottrina, per sostenere un partito della chiesa e
per dirimere una controversia, si facevano falsi per dimostrare la fondazione apostolica
di un vescovato, per ampliare la proprietà di un monastero e nel IV secolo si produssero
anche false reliquie e false vite di santi, i falsi esaltavano una dottrina e gettavano
discredito sulla dottrina avversaria.
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Solo di rado si conoscono i nomi dei falsari, il falsario si sentiva inferiore al nome che
usava, le contraddizioni bibliche dovrebbero attestare la falsità delle testimonianze,
come avviene nei tribunali, accadeva che i falsificatori mettessero in guardia dai falsi
degli altri, altri giuravano di dire il vero, si servivano di testimoni e, qualche volta, per
avere credito, affermavano anche qualche verità.
Le falsificazioni avvenivano a sostegno della fede, nel IX secolo si presero a falsificare
anche documenti papali, i quattro vangeli all’inizio furono tramandati in forma
anonima, poi la chiesa dichiarò che quelli canonici risalgono agli apostoli.
Marco forse era un cristiano ex pagano, lo si riconosce dalla sua polemica antigiudaica,
forse il vangelo di Matteo fu opera di una scuola intera, anche gli atti degli apostoli
nacquero anonimi, il quarto vangelo è opera non dell’apostolo.
Dionigi d’Alessandria, morto nel 265, negò che l’apocalisse fosse opera dell’apostolo
Giovanni, forse fu opera di Cerinto e di Giovanni il Presbitero, anche se l’autore
dell’apocalisse si firma con il nome dell’apostolo e si presenta come testimone dei fatti.
Nemmeno le epistole di Paolo sono autentiche, soprattutto le lettere a Timoteo, a Tito,
quella ai Colossesi, anche se la seconda lettera ai Tessalonicesi è firmata da Paolo, è
stata manipolata la lettera agli efesini e la lettera agli ebrei che, fino al IV secolo, non
era giudicata né apostolica, né canonica.
Le epistole cattoliche, attribuite a Pietro, Giovanni, Giacomo e Giuda, solo nel IV
secolo furono inserite nel canone, per Lutero la I epistola di Pietro era contraffatta e nel
200 il canone Muratori della chiesa romana non la menzionava, lo stesso canone non
menzionava le epistole II e III di Giovanni e l’epistola di Giacomo che era respinta da
Tertulliano, Origene e Lutero.
Le interpolazioni dei testi furono numerose tra i cristiani, per esaltare Cristo e per far
passare opinioni, le epistole di Paolo furono rimaneggiate da Taziano, per motivi
estetici, e da Marcione per i contenuti.
Girolamo, per incarico di papa Damaso I (366-384), fece una revisione delle bibbie
latine e creò la Volgata latina, così facendo modificò numerosi passi, però nel XVI
secolo il concilio di Trento dichiarò autentica la sua Vulgata.
La trinità era conosciuta nel mondo pagano, mancava nel cristianesimo dei primi secoli
e s’impose tra i cristiani nel IV secolo, Gesù non aveva nessuna concezione trinitaria,
per sostenere la fede nella trinità, furono create le interpolazioni false di Matteo e
Giovanni, infatti, gli antichi manoscritti greci mancano del passo di Giovanni I (5,7) che
accenna al padre, al figlio ed allo spirito santo.
Molte falsificazioni hanno influito, in maniera determinante, sullo sviluppo della
dogmatica della chiesa, sulla sua politica e sulla sua storia, la scorta di documenti
contraffatti è illimitata.
Tanti teologi antichi consideravamo apostolici molti libri poi definiti apocrifi, ogni
chiesa aveva il suo vangelo, a causa della lotta per il primato e il potere, poi la chiesa
definì non autentiche o apocrife alcune scritture. E’ anche vero che i concili cercarono
di mettere ordine al caos delle scritture e perciò, a tale fine, dichiararono apocrifi alcuni
scritti.
Anche gli apocrifi furono scritti da cristiani e servirono a diffondere il cristianesimo,
alcuni di essi furono rimaneggiati e falsificati, a volta, alcuni falsi erano attribuiti ad
avversari per screditarli, tutti i santi dirigenti delle chiese si rinfacciavano i falsi. Il
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vescovo Eustazio d’Antiochia accusò il vescovo Eusebio di Cesarea di aver falsificato il
credo di Nicea del 325, alcuni apocrifi erano più antichi di scritti poi divenuti canonici.
Il vangelo dei nazareni aveva tratti in comune con il vangelo di Matteo, come il vangelo
degli ebioniti, che non credevano alla nascita verginale di Gesù ed erano vegetariani.
Nel vangelo degli ebrei la madre era lo spirito santo, nei primi secoli circolarono anche
falsi attribuiti a Gesù, il vangelo apocrifo di Pietro, scritto nel II secolo, fu scoperto solo
nel 1886.
L’apocalisse di Pietro era commentata da Clemente d’Alessandria, considerata ispirata
da Metodio e inserita nel canone cattolico di Muratori, alla pari dell’apocalisse di
Giovanni. Nel IV secolo nacque anche l’apocalisse di Paolo, che accennava ad una
discesa di Paolo all’inferno, di cui si descrivevano le pene, ad essa s’ispirò anche Dante
per scrivere la divina commedia.
Esistono anche vangeli attribuiti a Maria, nel protovangelo di Giacomo si parla della
fanciullezza di Maria, questo vangelo fu accettato in oriente e rifiutato in occidente, la
Didaché, o dottrina dei dodici apostoli, fu scoperta nel 1883 e risale al secondo secolo.
Le costituzioni apostoliche, in otto volumi, contengono dottrina, diritto e liturgia,
nacquero nel 400 in oriente, i primi sei libri furono attribuiti agli apostoli, anche la
professione apostolica di fede del IV secolo conteneva il credo ufficiale attribuito agli
apostoli, forse il primo nucleo nacque alla fine del II secolo a Roma.
Le storie o atti degli apostoli, sono apocrifi databili II e III secolo, poi furono
contraffatti, tra di essi, gli atti di Giovanni furono respinti da Eusebio ed Agostino,
questi scritti erano di supporto alla campagna d’evangelizzazione, gli atti di Pietro
integravano la storia canonica degli apostoli e gli atti di Paolo erano raccomandati da
Origene ed Eusebio, gli atti di Pilato nacquero per testimoniare l’esistenza storica di
Gesù e per parlare del suo processo.
Nel III secolo fu falsificato Clemente Romano, papa Zefiro (199-217) produsse un falso
trattato attribuito a Tertulliano, anche Attanasio fu falsificatore e scrisse un’opera di
tendenza antiebraica, il vescovo Apollinare scrisse sotto il nome d’Attanasio, inoltre
sotto il nome di Ambrogio esistono molti falsi.
E’ falso il carteggio tra Girolamo e papa Damaso, è falso il Liber Pontificalis, registro
ufficiale dei papi che, fino ai papi del IV secolo, non ha valore storico, esistono anche
falsi attribuiti ad Agostino, tra i falsificatori si cita Hieronymus Vignier, morto nel
1611, un oratoriano noto come falsificatore di documenti.
Tommaso D’Aquino fu sedotto da un falso attribuito a Dionigi l’Aeropagita, il vero
autore era, in realtà, un monofisita anonimo, la lettera di Pilato rende testimonianza alla
resurrezione e all’ascensione di Cristo, perciò la chiesa copta venera Pilato come santo.
I cristiani fecero carte false per dimostrare il parto virginale di Maria, contestato da
ebrei e giudeocristiani. Nel II secolo prese vita un carteggio tra Paolo e il filosofo stoico
Seneca (4 a.c. e 65 d.c.), che fu poi dichiarato falso da Erasmo da Rotterdam,
comunque, grazie a questo falso, i primi cristiani giunsero ad annoverare Seneca tra
santi cristiani.
Nel 64 d.c. Nerone accusò i cristiani di aver incendiato diversi quartieri Roma, forse i
cristiani erano innocenti o forse l’incendio non era doloso, Svetonio e Tacito accennano
al processo ai cristiani, questi fatti testimoniano la presenza a Roma di una setta di
cristiani, giudei o gentili convertiti, ma non dell’esistenza del Gesù storico o dell’arrivo
a Roma di Pietro.
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I romani erano tolleranti in fatto di religione, esentarono gli ebrei anche dal sacrificio a
favore dell’imperatore, per due secoli i cristiani non furono perseguitati, poi iniziarono
le persecuzioni e tanti, per sfuggire alla condanna, rinnegarono la loro religione, fu
Diocleziano (morto nel 313) che si accanì contro quelli che non facevano il sacrificio
all’imperatore.
Le persecuzioni iniziarono all’inizio nel 250, sotto l’imperatore Decio, la chiesa però ha
cercato di far credere che fino ad allora la chiesa di Roma aveva avuto 11 vescovi
martiri su 17, queste sono leggende, questi primi papi non sono personaggi storici,
mentre agli inizi del IV secolo i papi, per sfuggire alle persecuzioni, erano spesso
apostati.
Il culto dei martiri cominciò nel III secolo, tra di loro vi erano pochi vescovi che però, al
sicuro, incoraggiavano gli altri alla resistenza, incredibilmente la moglie di Pietro,
Tecla, per tradizione è considerata martire e santa, si afferma che le sue presunte
reliquie sono conservate a Milano.
Gli atti persiani dei martiri, che si presentano come storia vera e non come una
leggenda, narrano di torture e di morti cruente di cristiani, in realtà i martini cristiani
non furono molti, alcuni furono fatti santi e di loro si parla nel Martirologo romano.
Secondo le cronache a noi tramandate, nei primi tre secoli questi martiri sarebbero stati
circa 1.500, ma forse sono stati meno, Origene affermava che erano stati pochi e facili
da contare. Ciò malgrado si crearono falsi martiri e falsi episcopati sui loro nomi,
attribuendo ad ogni sede vescovile una discendenza apostolica, tutti gli elenchi vescovili
che contengono una successione apostolica sono falsi.
I nomi dei vescovi romani sono incerti fino al 235, anche Bisanzio seguì la strada di
Roma e nel IX secolo fece risalire il suo patriarcato all’apostolo Andrea, che così
sarebbe divenuto il primo vescovo di Costantinopoli.
La chiesa d’Alessandria aveva come capostipite Marco, le cui spoglie furono poi
trafugate dai veneziani, la lista alessandrina dei vescovi fu accettata anche da Eusebio,
in realtà, il primo vescovo d’Alessandria fu Demetrio (189-231).
Corinto e Antiochia, in concorrenza con Roma, dicevano di aver avuto come primo
vescovo Pietro, in realtà il primo vescovo di Roma fu un certo Lino, la successione
apostolica di Antiochia fu inventata nel III secolo da Giulio Africano.
La successione apostolica della chiesa armena era fatta risalire a Taddeo e Bartolomeo
e, a volte, a Cristo stesso, invece il primo vescovo d’Edessa fu Kune, morto nel 313. Nel
IV secolo si parlava di una lettera di Gesù caduta dal cielo, che serviva a dimostrare che
la resurrezione di Gesù era avvenuta, con il tempo queste lettere celesti divennero
sempre più frequenti.
La lotta tra i vescovadi d’Aquileia, Ravenna e Grado fu accompagnata da documenti
falsi, con i falsi, Barnaba diventò primo vescovo di Milano, in Gallia nel V secolo Arles
mirava alla supremazia su Marsiglia, Narbona e Vienne, perciò si affermò che la sede
vescovile di Arles risaliva al santo Trofimo, discepolo di S. Pietro, tutta questa
falsificazione era stata opera del vescovo Patroclo.
In Renania la città di Metz si richiamò a Clemente, Treviri ai discepoli di Pietro,
Magonza a Crescenzo, discepolo di Paolo, a Treviri si falsificarono atti conciliari, per
impedire che Colonia divenisse sede metropolita. Tutti questi falsi ebbero un
imprimatur ecclesiastico, perché la chiesa arrivò a sostenere che dove c’era una sede
vescovile era passato un apostolo, un suo discepolo o un successore di questo.
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Nel IV secolo s’interpolarono i testi del II secolo, con il concilio di Calcedonia del 451
si fabbricarono diversi falsi, nel IV secolo le zuffe d’interesse tra monasteri e vescovadi
portarono a manipolazioni di documenti, con i falsi si promosse il culto di santi,
s’inventarono miracoli e reliquie.
Con i falsi si credeva di servire la religione, la missione cristiana giustificava l’inganno,
il fine santificava i mezzi, i falsi erano bugie necessarie perché il popolo era fatto di
bambini, anche Platone sosteneva che si poteva utilizzare la menzogna a fin di bene,
anche Filone consigliava l’uso della bugia, per il bene degli individui e della patria,
forse è stato lui l’inventore della propaganda di stato.
Aveva affermato Paolo: “Se a causa della mia menzogna si glorifica Dio, perché io devo
essere biasimato?”, anche per Clemente la menzogna e il raggiro si potevano usare a fin
di bene, cioè per la salvezza dell’anima, per Origene la menzogna poteva essere un
farmaco, perché anche Dio poteva mentire con lo scopo di realizzare un piano di
salvezza.
Giovanni Crisostomo sostenne la necessità della menzogna, sempre con lo scopo di
salvare l’anima, infatti, anche i medici, a volte, ingannano i malati con i placebo e con la
suggestione, con il fine buono di portarli a guarigione.
Infatti, secondo Giovanni Cassiano di Costantinopoli, la bugia era salutare come i
farmaci, tra i vizi egli non citava l’inganno, anche per Tommaso D’Aquino, per la causa
del cattolicesimo, era lecito ingannare e i gesuiti hanno condiviso l’idea che mentire sia
utile per una buona causa.
Gesù fece 38 miracoli, 19 di essi sono narrati solo da Marco, anche l’apostolo Taddeo,
secondo Eusebio, faceva molti miracoli, leggendo i vari evangelisti, alcuni miracoli, a
causa delle contraddizioni di cui si è parlato, a volte sembrano fatti a favore di una
persona a volte a favore di più persone.
Nei tempi in cui erano di moda i vaticini e le divinazioni, tutti credevano ai miracoli, per
denigrare i miracoli al massimo si potevano attribuire al diavolo, però alcuni dei
miracoli attribuiti a Gesù erano già stati fatti da altri, prima che egli nascesse.
Budda aveva camminato sull’acqua e placato le tempeste, a Babilonia certi Dei
rianimavano i defunti, il salvatore Asclepio, Osiride e Attis resuscitarono dalla morte.
Tutti credevano alle divinità inviate dal cielo come redentori, salvatori e pastori, nati da
una vergine, le divinazioni profetiche e i vaticini avevano molto credito.
Però sulle profezie si fecero delle forzature, i profeti ebraici generalmente avevano
scritto riferendosi al passato già verificatosi, per la chiesa mille passi degli antichi
profeti avevano già parlato di Gesù, in realtà, questi profeti si riferivano ad altri
personaggi. I prodigi dei profeti e di Cristo furono, con il tempo, ampliati ed arricchiti,
infatti, il miracolo si fonda sull’esagerazione, perché per Dio niente è impossibile.
Dopo Cristo i miracoli furono attribuiti ai martiri cristiani che, si narrava, avevano
sopportarono coraggiosamente le torture, poi questi santi continuarono i loro miracoli
anche dopo la morte, dei martini si conservarono anche le reliquie, a volte questi martiri
della tradizione non erano mai esistiti.
Dopo Costantino non ci furono più martiri cristiani, anche perché ora era il
cristianesimo a fare martiri, al posto loro vennero monaci e asceti che facevano
miracoli, non poteva esserci un santo senza miracoli e chi li faceva era acclamato santo
dal popolo, in un secondo tempo, per la loro canonizzazione, ci volle la certificazione
dei loro miracoli da parte del papa, che così accentrava sempre più funzioni e poteri,
mentre fedeli e vescovi ne erano esclusi.
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Si credeva che i poteri taumaturgici del santo deceduto fossero conservati nelle ossa del
suo scheletro, perciò delle ossa di santi si faceva incetta e mercato, tuttavia si alzò
qualche voce critica e Benedetto XIV (1740-1758) dichiarò solennemente che
l’inserimento di un nominativo nel Martirologo romano, non dimostrava assolutamente
la santità del soggetto.
Allora si diceva che San Benedetto aveva fatto sgorgare l’acqua dalla roccia, che fece
resuscitare due persone e fece camminare sull’acqua un suo discepolo, si credeva che
anche Agostino fece resuscitare un morto. Nel medioevo, oltre ai miracoli salutari, si
credeva anche ai miracoli punitivi dei santi cristiani, una specie di magia nera, in certi
vangeli apocrifi anche Gesù bambino aveva fatto miracoli del genere.
Fino al quinto secolo si veneravano i santi ma non Maria, poi anche Maria ebbe
santuari, venerazione e fece miracoli, per il popolo certe invenzioni mitiche avevano il
peso della verità, inoltre per gli antichi non si faceva distinzione tra romanzo storico e
storia vera, come non si faceva distinzione tra storia e leggenda. Questa credulità fruttò
alla chiesa credito, potere e ricchezze.
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VOLUME III
PARTE II
Nel primo millennio i santi, per il credito che riscuotevano, furono canonizzati
direttamente dal popolo, poi i papi si riservarono il diritto di beatificare e santificare,
oggi si può affermare che non è Dio ad avere bisogno dei miracoli, ma la chiesa, con lo
scopo di mantenere il suo potere e di accrescere le sue ricchezze, i santuari, infatti, sono
stati sempre molto ricchi.
Per la chiesa solo i suoi miracoli, da essa certificati, sono autentici, eppure ne hanno
fatto anche Budda e Krishna, anche il pagano Apollonio di Tiana fece miracoli, anche se
furono attribuiti da Giustino e dalla chiesa all’opera del diavolo.
Con le crociate, l’oriente si rivelò per la chiesa un patrimonio di reliquie, che spesso
erano comprate o sottratte in guerra, infatti le ossa di Marco finirono da Alessandria a
Venezia, anche i primitivi usavano custodire resti di persone venerate, di Budda furono
distribuiti tra i seguaci le ceneri, le ossa, i capelli, i denti e il bastone; di Maometto si
conservarono i peli della barba, invece l’ebraismo non aveva il culto delle reliquie, in
Israele chi toccava il cadavere di una persona era impuro per sette giorni.
Il culto cristiano delle reliquie si ricollegava anche al culto degli eroi semidei pagani,
che erano stati guerrieri eccellenti, fondatori di templi, di città e di dinastie, i greci
conservavano le loro ossa, per averne protezione, su un sepolcro elevato al centro della
città, oppure erano inserite in un reliquario ed erano portate in processione.
Le tombe degli eroi erano luoghi di guarigione e di divinazione, gli antichi però non
frazionarono i resti degli eroi, né praticarono il commercio delle reliquie, come avvenne
tra i cristiani, presso i quali la tomba del martire divenne oggetto di culto, ancora prima
del culto delle immagini.
Le reliquie potevano essere primarie, come la testa, e secondarie, come un dente, e da
contatto, come indumenti od oggetti venuti a contatto con i santi, allora si credeva
anche che le ossa dei santi trasudassero olio santo profumato. La raccolta delle reliquie
divenne così diffusa che, appena moriva un monaco stimato, si accorreva al suo
capezzale per appropriarsi del suo cadavere, che poi era sezionato.
La prima traslazione della salma di un martire ebbe luogo ad Antiochia nel 354, fu
trasportato il corpo del santo Babila a Dafne, con lo scopo di contrastarvi il culto
d’Apollo, poi Cirillo trasportò i corpi dei due martiri, Ciro e Giovanni d’Alessandria, a
Menuthis, per far dimenticare il culto di Iside, già praticato in questa città. Nel 386
Ambrogio scoprì le ossa dei martiri Gervasio e Protasio e le spedì dappertutto.
Quindi si diffuse l’usanza di custodire il resto dei martiri sotto l’altare, così l’altare
divenne una tomba consacrata e ogni chiesa volle avere le reliquie di un santo per il suo
altare, ancora oggi perciò l’altare delle chiese ha la forma di un sarcofago.
Si eseguivano i giuramenti sopra le reliquie, che erano portate anche in guerra, per
appropriarsi di reliquie si allestivano campagne militari, fino al XIII secolo
l’acquisizione privata o libero commercio di reliquie avvenne liberamente, senza alcun
controllo da parte della chiesa.
Per sfuggire all’inferno, i comuni cristiani si portavano le reliquie dei santi nella tomba
e, poiché Teodoreto e Gregorio I Magno (560-604) avevano affermato che il più piccolo
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frammento di reliquia aveva la stessa efficacia di uno scheletro intero, si prese a
frantumare gli scheletri dei santi. Inevitabilmente ci furono anche delle truffe, vendendo
per ossa di santi martiri ossa di comuni mortali e anche d’animali.
Così si smembrarono cadaveri e si frantumarono strumenti di tortura che si diceva
avessero straziato i martiri, come avvenne con la presunta croce di Cristo, Gregorio
Magno I (590-604) spediva ai sovrani schegge della croce di Cristo e capelli di
Giovanni Battista, anche Bonifacio IV (608-615) esportò in Francia ossa di santi.
Al concilio d’Efeso del 431, Cirillo, con la corruzione, impose il dogma di Maria madre
di Dio, così le sue immagini entrarono per la prima volta nelle case dei cristiani
d’oriente, poi dal VII secolo Maria diventò la patrona e la regina degli eserciti cristiani.
Dal V al VI secolo si sviluppò il commercio di reliquie mariane, erano venerate reliquie
del suo abito e a Monaco il suo pettine, la riforma protestante respinse la venerazione
delle reliquie che fu però ripristinata dal concilio di Trento, anche perché il culto delle
reliquie era collegato a quello dei santi martiri e ai pellegrinaggi, con gli interessi
economici che ne scaturivano. Anche il culto delle immagini fu difeso perché collegato
a rappresentazioni artistiche vendute dai monasteri.
Come gli ebrei e gli arabi, anche i cristiani adottarono le processioni, i cristiani facevano
voti come avevano fatto i pagani, anche i pagani, come i cristiani, avevano portato ai
templi offerte votive ed ex voto, come riproduzioni di arti guariti.
Nei templi pagani e cristiani si portavano in dono anche animali e parte dei bottini di
guerra, in quei luoghi tutti chiedevano guarigioni e perciò i templi diventarono anche
degli ospedali, l’uso di dormire nei luoghi sacri, per averne delle visioni, risaliva ai
pagani. I templi pagani e cristiani divennero anche banche, dove si custodivano
ricchezze e si facevano transazioni finanziarie.
I pellegrinaggi furono praticati in Cina dai confuciani, in Egitto e in Grecia, alla fine del
V secolo a.c. Asclepio diventò il più importante dio di salvazione, era taumaturgo e
redentore e fu deificato, sedava le tempeste e resuscitava i morti, alla fine ascese in
cielo. Strane queste coincidenze con Cristo, tanti miti pagani furono metabolizzati dal
cristianesimo e attribuiti a Cristo.
Epidauro, nel Peloponneso, dal VII al V secolo a.c. fu una specie di Lourdes cristiana,
vi si facevano cure traumatologiche e idriche, aveva un albergo per pellegrini, si diceva
che più importanti erano le donazioni fatte al santuario, maggiore era le probabilità di
guarigione, ingegnoso questo stratagemma dei sacerdoti!

Per Teodoreto ricchezza e povertà facevano parte dell’ordine naturale voluto da Dio,
Agostino difese le differenze sociali esistenti e la proprietà, che, anche per lui, era dono
di Dio, anche per lui la ricchezza non rendeva felici, per Agostino il guadagno del
commerciante era legittimo, invece Salviano di Marsiglia aveva affermato che la vita
degli uomini d’affari era inganno e spergiuro.
Così l’immenso patrimonio fondiario della chiesa fu definito eufemisticamente:
“Proprietà dei poveri”. Agostino ebbe a combattere i manichei, che guardavano il
denaro come un male, e i pelagiani che invitavano i ricchi a rinunciare ai loro beni,
corteggiò gli straricchi e si pronunciò a favore delle elemosine, metteva anche in
guardia i poveri dalla bramosia dell’avere.
Agostino esaltava il lavoro degli altri, specialmente il lavoro nei campi, durante i quali
s’innalzavano inni religiosi che, oltre a rafforzare lo spirito, facevano sentire meno la
fatica, come accadeva agli schiavi negri americani. Agostino voleva anche la
sottomissione di mogli, figli e schiavi.
Con l’aumento di ricchezza, vescovi e chierici furono contagiati dalla sete di potere e
dalla venalità, si esortarono i fedeli a fare offerte volontarie alla chiesa e agli spiccioli
dei poveri si aggiunsero le ricche offerte dei ricchi; Tertulliano, a carico dei fedeli,
introdusse anche una specie di quota associativa, per Ireneo l’offerente acquistava un
credito in cielo.
52
Nei primi due secoli i sacerdoti vivevano d’offerte volontarie, poi si prese a prelevare
dai fedeli una tassa, detta decima sulla terra, con la motivazione che i santi della chiesa
non potevano procacciarsi gli alimenti da soli. Il primo collettore di queste entrate
divenne il vescovo, che rivendicava il potere di amministrare, insegnare ed ordinare, a
lui erano sottomessi chierici e laici.
Il vescovo poi, controllando la cassa, come accade oggi anche in politica, s’impose in
maniera assoluta sul suo clero che poteva, a suo arbitrio, insidiare o destituire, divenne
amministratore del patrimonio ecclesiastico, delle offerte e delle donazioni, delle quali
doveva rendere conto solo a Dio, in pratica a nessuno. Sacerdoti e diaconi rispondevano
solo a lui e ne ricevevano uno stipendio, però, siccome questo era esiguo, i sacerdoti
all’inizio esercitavano anche un altro mestiere.
Nel 343 l’imperatore Costanzo concesse esenzioni fiscali ai chierici che svolgevano
attività commerciali, da Costantino in poi, cioè nel IV secolo, la chiesa prese ad
incrementare la sua proprietà immobiliare, però nel III secolo la chiesa di Cartagine era
già ricca.
Ad innestare le persecuzioni di cristiani cattolici, eretici, ebrei e pagani, fu anche la
voglia di riempire le casse dello stato con la confisca di loro beni, nei secoli a venire
quest’operazione si sarebbe ripetuta a carico di ebrei, templari e gesuiti, perché lo stato
faceva espropriazioni sia in pace sia in guerra, così facendo mirava all’equilibrio di
bilancio.


Numerosi principi germanici si convertirono perché Cristo li avrebbe guidati alla
vittoria in battaglia, tanti di loro si fecero battezzare dopo un voto e una strage ben
riuscita; sotto i carolingi, le vittorie militari più importanti furono attribuite a San Pietro,
invece i rovesci militari erano imputati dai preti alla scarsità della fede ed ai peccati,
mentre profetizzavano la vittoria finale di Cristo.
Dopo la conversione dei loro principi, i barbari germani si convertirono, tribù per tribù e
non individualmente, i legati papali presso i principi prima convertivano le loro mogli
poi, attraverso queste, i principi, quindi, per inerzia, intere tribù.
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L’elemento decisivo per la conversione non era il vangelo, ma la scelta del re, il suo
matrimonio con una cristiana o una grande vittoria militare, poi i propagandisti cristiani
si volsero a convertire i grandi latifondisti feudatari, sulle cui terre erigevano
preliminarmente una chiesetta, il popolo sarebbe venuto automaticamente.
Nell’alto o primo medioevo i contadini erano generalmente pagani, mentre i cittadini
erano cristiani, quindi i pagani erano più numerosi dei cristiani, il cristianesimo nacque
come religione cittadina e poi divenne religione di stato, divenne la regione dei feudatari
dominanti e attraverso questi, in un secondo tempo, si estese ai contadini, che però,
contemporaneamente, continuavano a seguire pratiche pagane.
I contadini erano usi adorare gli alberi, come la quercia, pietre e fonti, perciò i sinodi
condannarono queste pratiche pagane, i Germani praticavano una religione naturale dai
tratti panteistici, veneravano i boschi, i monti, le sorgenti, i fiumi, i mari, il sole, la luce,
l’acqua, gli alberi e le pietre, credevano nei demoni e negli spiriti, loro eredi


Papa Gregorio I Magno, prima definiva i longobardi briganti, assassini e incendiari, poi
fece con loro un trattato di pace a spese di Bisanzio, al re dei longobardi disse: “Senza
la pace si verserebbe il sangue dei contadini, il cui lavoro va a vantaggio di entrambi”.
Opponendosi a Bisanzio, Gregorio arrivò a scomunicare l’esarca di Ravenna, Romano,
il papa era anche vicino alla regina cattolica Teodelinda, moglie del re longobardo
Agilulfo, grazie alla mediazione del vescovo Secondo, consigliere della regina.
Il papa mandò in regalo alla regina Teodolinda dell’olio santo, schegge della croce di
Cristo e bottigliette con il suo sangue, perciò Teodelinda fece battezzare con il rito
cattolico suo figlio Adaloaldo, poi il re Agilulfo si accostò al cattolicesimo, accettò i
missionari cattolici e restituì le terre espropriate alla chiesa, aggiungendone delle altre.


Merovingi e carolingi nutrirono particolare riguardo verso il patrimonio della chiesa,
così la chiesa divenne un bacino di raccolta di ricchezze che non doveva essere divise
tra eredi, inoltre i beni della chiesa erano inalienabili, le donazioni fatte alla chiesa erano
irrevocabili e non erano prescrittibili. Vari concili ribadirono questi concetti, come il
concilio di Tours del 567.
Le terre donate ai conventi erano organizzate come imprese schiavistiche, sotto i
merovingi c’erano più schiavi che nel IV secolo, la chiesa non proteggeva gli schiavi
fuggiaschi ed i vescovi potevano trattenere gli schiavi cristiani degli ebrei, invece di
affrancarli, in pratica li confiscavano come oggetti di reato.
La chiesa disponeva di schiere di schiavi, indispensabili per i suoi latifondi, in età
carolingia lo schiavo nasceva da schiavi ed era trattato come un bene mobile, non
riacquistava la libertà nemmeno con la consacrazione sacerdotale o il matrimonio.
Inoltre, per incrementare la schiavitù, fu prevista la schiavitù per tradimento, adulterio,
fabbricazione di monete false; agli abati fu vietato affrancare gli schiavi donati al
convento.


Pipino III era salito al potere con l’aiuto di papa Zaccaria e perciò giurò di proteggere
Roma, il papa nominò Pipino III patrizio romano, titolo prima appartenuto all’esarca di
Ravenna, così sancendo la separazione definitiva di Roma da Bisanzio.
La donazione di territori fatta da Pipino III alla chiesa, divise l’Italia in due fino al
1870, anche se Pipino regalò al papa solo ciò che era appartenuto a Bisanzio

Nel medioevo s’inventarono anche epistole celesti che esortavano alla pace, alla guerra,
ad una crociata, ecc., pullulavano le favole miracolistiche e le leggende dei santi, nei
secoli X e XI fu inventata da preti e monaci una sequela di vite di santi.
Documenti falsi furono usati nelle lotte intestine tra vescovadi, con falsi diplomi o
concessioni, a Roma fu contraffatta la lista dei vescovi, al fine di garantire la continuità
della successione apostolica a partire da Pietro; seguirono l’esempio altri vescovi che
facevano discendere i loro episcopati dai discepoli, Magonza da Paolo, Milano da
Barnaba, ecc.
Nel 731 in Inghilterra fu ideata una risposta di papa Gregorio I al vescovo di
Canterbury, Agostino, in realtà redatta da Nothelm, futuro arcivescovo della città, con
essa il papa concedeva ad Agostino il diritto ad ordinare i vescovi, con falsi documenti
e false lettere pontificie Canterbury cercò d’imporre il suo primato sull’arcivescovo di
York.
L’arcivescovo di Vienne e futuro pontefice Calisto II (1119-1124) fu un papa falsario e
scrisse epistole papali false dei papi precedenti, in Germania Magonza ottenne il suo
primato grazie a falsi attestati di Pipino III e Carlo Magno, anche Brema costruì dei falsi
per acquisire privilegi.
L’arcivescovo Adalberto di Amburgo-Brema, con l’aiuto di scrivani, confezionò
documenti d’imperatori e papi, suo scopo era liberare il suo vescovado dalla
subordinazione, per renderlo uguale ad altri vescovadi più importanti.
Nel 968, con un documento falso di Giovanni XIII, si conferiva all’arcivescovo
Adalberto di Magdeburgo il primato su tutti i vescovi e arcivescovi di Germania. Anche
i monasteri fecero dei falsi, cioè privilegi pontifici d’epoca merovingia, con lo scopo di
sottrarsi all’influenza dei vescovi, i monaci del monastero di S. Emmaram, con false
attestazioni nel XIII secolo, riuscirono a diventare indipendenti dall’impero e
subordinati solo al papa.
A metà del XII secolo in Turingia l’abate Reinhardsbrunn falsificò dei documenti per
appropriarsi di terre del vicino convento dei cistercensi, alcuni si procuravano falsi
documenti su commissione, per essere esentati dal servizio militare o per assicurarsi
l’elezione ad abate.
Paolo Diacono, era un bibliotecario falsario presso Montecassino, dove fabbricò diplomi
reali e documenti pontifici, al monastero di Fulda i monaci Rodolfo e Meginhard
avevano redatto falsi di Pipino III, Carlo Magno e papa Zaccaria, con lo scopo di
sottrarre le decime all’arcivescovo di Magonza.
La falsa donazione di Costantino nacque nella cancelleria di papa Stefano II, con
quell’atto egli superò le resistenze di Pipino III e si presentò come legittimo padrone
d’Italia, poi indusse i franchi a muovere guerra ai longobardi che volevano dominare
l’Italia.

Oggi alcuni studiosi della chiesa definiscono i falsi medioevali: “Devozione antica” ed i
falsari come:”Venerabili falsari”, nel 1440 anche Lorenzo Valla, segretario del papa,
riconobbe l’imbroglio, però la storiografia cattolica riconobbe ufficialmente la
falsificazione solo nel XIX secolo, senza che la chiesa restituisse i privilegi e le
ricchezze che ne aveva ricevute nel contempo, visto che ne era caduto il titolo.
Per tutta la sua vita gli interlocutori più importanti di Carlo Magno (772-814),
succeduto a Pipinio III, furono i pontefici, egli privilegiò il rapporto con la santa sede,
l’impero carolingio fu una teocrazia e il corpo di Cristo, Carlo era l’uomo della
Provvidenza, anche se era permanentemente in guerra, ovviamente anche Carlo fu fatto
santo dalla chiesa festa 28/1).


Gli apostoli di Gesù, dichiarati dalla Chiesa tutti galilei eccetto Giuda Iscariote che lo fa
provenire dalla Giudea, sono:
Secondo Marco: Simone Pietro, Giacomo di Zebedeo, Giovanni fratello di Giacomo,
Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il
cananeo, Giuda Iscariota (12).
Secondo Matteo: Simone Pietro, Giacomo di Zebedeo, Giovanni fratello di Giacomo,
Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il
cananeo, Giuda iscariota (12).
Secondo Luca: Simone Pietro, Giacomo, Giovanni, Andrea, Filippo, Bartolomeo,
Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Giuda di Giacomo, Simone lo zelota, Giuda
Iscariote (12).
Secondo gli Atti degli Apostoli: Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e
Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo zelota, e Giuda di
Giacomo. (11).
Le differenze esistenti nelle liste degli apostoli sopra riportate ci portano subito a fare
due osservazioni, una di carattere religioso e l’altra di carattere storico.
1) L’osservazione di carattere religioso riguarda l’evidente incoerenza che c’è tra
le parole di Gesù che elegge 12 apostoli perché 12 sono i troni destinati nei cieli: “E
Gesù disse loro: <<In verità (!?!) vi dico: voi che mi avete seguito, nella nova creazione,
quando il figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, sederete anche voi su
dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele>>” (Mt. 19-28) e la realtà dei fatti che
vede ridursi il numero degli apostoli a undici. (A ciascuno il proprio commento).
2) La seconda, di carattere storico, si riferisce alla differenza dei nomi riportati
dai vangeli di Marco e Matteo che nominano un Taddeo ignorato dal vangelo di Luca e
dagli Atti degli Apostoli i quali al suo posto mettono un Giuda di Giacomo che è
ignorato dai primi due.
Perché questa differenza se tutti e tre i redattori dovevano essere a perfetta conoscenza
degli apostoli dal momento che, stando a quanto sostiene la Chiesa, Matteo fu lui stesso
un apostolo, Marco un collaboratore di Paolo di Tarso (At. 12,25; 1,5; 2Tim. 4,11) e di
Simone Pietro (2Pt 5/13; At, 12, 12-7), e Luca eseguì, come lui stesso afferma ( Lc.1,2-
3), la stesura del vangelo e degli Atti con un’accurata indagine prendendo informazioni
direttamente dagli stessi testimoni dei fatti tra i quali la stessa Maria, madre di Gesù,
che secondo la Chiesa, egli avrebbe personalmente conosciuto? (La Sacra Bibbia -
UECI- pag. 1025).
La sorpresa che ci viene da questa discordanza di nomi che riscontriamo tra i vangeli di
Marco e Matteo e il vangelo di Luca e gli Atti degli Apostoli, diviene addirittura
strabiliante quando rimarchiamo che nel quarto vangelo, quello di Giovanni, le
differenze degli apostoli in rapporto agli altri, si accentuano sia nel numero, che non è
più di 12 ma bensì di 9, e sia nei nomi risultando non solo mancanti Giacomo di Alfeo,
Giuda fratello di Giacomo o Taddeo, Bartolomeo, Matteo e Simone lo zelota, ma
trovandone addirittura dei nuovi dagli altri mai prima nominati, quali Natanaele di Cana
e un discepolo anonimo qualificato come il “prediletto?”.
Vangelo di Giovanni: Simone detto Pietro, Giacomo, Giovanni, Andrea, Filippo,
Tommaso, Giuda Iscariota, Natanaele di Cana e il discepolo prediletto. (9). ( Ho messo
84
in corsivo Giacomo e Giovanni perché questi due, mancanti nella prima edizione di
Giovanni, composta di XX libri, vengono nominati soltanto nell’ultimo capitolo, il XXI,
il quale fu aggiunto in seguito, si presume 70- 80 anni dopo, allorché i falsari ritennero
necessario apportare attraverso di esso dei complementi che riparassero le carenze e le
imperfezioni contenute nella prima redazione uscita intorno agli anni 180-190 del
secondo secolo.
Che la prima edizione del quarto vangelo, cioè quello di Giovanni, sia uscita alla fine
del II secolo lo riconosce la stessa Chiesa: “Il più antico manoscritto che si riferisce a
questo vangelo è del 150, al massimo del 200”. (La Sacra Bibbia - UECI- pag. 1058).
Considerando che i quattro vangeli furono scritti, stando a quanto afferma la Chiesa, da
apostoli presenti ai fatti da loro stessi riportati, quali Matteo e Giovanni apostoli, e da
redattori che avevano contattato per lungo tempo gli stessi testimoni oculari, quali
Marco e Luca che erano stati discepoli di Simone Pietro, se non addirittura la stessa
Maria madre di Gesù, come nel caso di Luca, questa discordanza di nomi ci reca la
stessa sorpresa che se dei giocatori di calcio, dopo aver fatto insieme più campionati
nella stessa squadra, ci dessero dei nominativi discordanti sul numero e sui nomi dei
loro compagni. Il minimo che si possa pensare è che sotto si nasconda qualche cosa di
ambiguo e di disonesto che costringe chiunque ama la verità a fare un’inchiesta tutta
personale, dal momento che a chiederne spiegazione ai preti (gli specializzati dei
vangeli), non si hanno che risposte confuse, stolte, se non addirittura offensive
all’intelligenza umana.
La prima cosa che ci ha spinti ad approfondire le ricerche è stato lo scoprire attraverso
documentazioni estratestamentarie che nello stesso tempo in cui avvenivano i fatti
riportati dai vangeli, esisteva in Palestina, e più precisamente in Galilea, una squadra di
rivoluzionari composta dai figli di un certo Giuda il Galileo che mostra delle forti
analogie con quella evangelica di Gesù e dei suoi apostoli,
Ma prima di passare al diretto confronto dei singoli componenti le due squadre è
opportuno spiegare, anche se in breve, chi fosse questo Giuda il Galileo.
Giuda il Galileo, figlio del Rabbi Ezechia ucciso nel -44 in uno scontro armato contro le
truppe di Erode il Grande, era il pretendente al trono di Gerusalemme quale discendente
diretto della stirpe degli Asmonei fondata da Simone, figlio di quel Mattatia il
Maccabeo che nel II secolo av. Cr. si era messo a capo di un Movimento Rivoluzionario
Giudaico per la liberazione della Palestina dall’invasione degli Ellenisti. Preso il posto
del Padre, quale Asmoneo discendente diretto della stirpe di David, dopo aver sostenuto
diverse battaglie contro i romani e contro Erode il Grande, Giuda morì nella guerra del
Censimento (+6), lasciando sette figli i quali, preso il posto del padre, continuarono la
lotta di rivendicazione dinastica al trono di Gerusalemme.
I figli di Giuda furono: Giovanni primogenito, Simone, Giacomo il maggiore, Giuda
(non l’iscariota), Giacomo il minore, Menahem ed Eleazaro. Questi due ultimi, anche se
non risulta che facessero parte della squadra rivoluzionaria, continuarono comunque,
dopo la morte dei fratelli, nella rivendicazione al trono di Gerusalemme combattendo
nelle successive guerre contro i romani, quali quella del 66-70 (Guerra Giudaica), nella
quale perì Menahem, e quella del 74 (Masada), nella quale morì.

“I 4 vangeli canonici e la maggior parte dei 14 libri degli Atti degli Apostoli, per essere
esatti 10, che videro la luce nelle loro prime edizioni a partire dalla seconda metà del
secondo secolo (155-160), praticamente si trovano a metà strada tra una
documentazione che li precedette sotto forma di scritti (Vangeli, Detti, Lettere e Atti),
redatti per lo più in greco, che la Chiesa ha dichiarato apocrifi, cioè falsi, e le ultime
edizioni degli stessi che uscirono, dopo innumerevoli correzioni e falsificazioni, nel V e
nel VI secolo. Che i vangeli usciti nel V e nel VI secolo nelle loro edizioni definitive,
che “grosso modo” sono quelli attuali, siano differenti dai vangeli del II secolo ci viene
dimostrato dagli stessi dottori della Chiesa, quale Eusebio di Cesarea, autore della
celeberrima Historia Ecclesiastica, morto nel 340, e Ireneo vescovo di Lione, vissuto a
cavallo tra il II e III secolo, i quali riportano nei loro libri numerose affermazioni che
sono in netto contrasto con quelle che vengono sostenute dai vangeli definitivi, cioè
quelli usciti 150-200 anni dopo la loro morte, come la verginità della Madonna che, da
essi negata, viene invece sostenuta, anche se in forma non ancora dogmatica, nelle
edizioni del V e VI secolo. Senza parlare poi di Tertulliano, apologista cristiano del II
secolo, che nega la nascita terrestre di Gesù, come d’altronde era sostenuto in tutte le
prime edizioni dei quattro vangeli canonici, che troviamo invece confermata nel V e VI
secolo nei vangeli di Matteo e di Luca. Se gli altri due vangeli, quello di Marco e di
Giovanni, non la riportano è perché essi furono lasciati come inizialmente erano stati
redatti, cioè secondo quei principi teologici che nella seconda metà del II secolo
sostenevano che Gesù si era presentato agli uomini non come uomo ma sotto forma di
rivelazione (S. Paolo - Gnosi). (Leggere La Favola di Cristo).

L’Apocalisse
Da chi e quando è stata scritta l’Apocalisse? Cosa esprime l’Apocalisse?
Secondo la Chiesa, “l’Apocalisse, dal greco “Rivelazione”, è stata scritta dal
discepolo Giovanni, lo stesso autore del IV vangelo, negli anni 94-95 nell’isola di
Patmos (Grecia) durante le persecuzioni contro i cristiani operate dall’Imperatore
Domiziano. Essa esprime, attraverso la rivelazione da parte di un angelo a Giovanni
l’evangelista, la certezza della vittoria finale di Cristo sulle potenze del male”.
(Bibbia ed. C.E.I.)
Lasciando ogni commento sul significato abusivo e fazioso che la Chiesa attribuisce
a questo libro, che non è nostra intenzione entrare in discussioni fideistiche,
passiamo all’esame di questo libro considerando esclusivamente quei presupposti
che possono essere trattati in un processo laico, quali quelli dipendenti
135
esclusivamente dalla ragione e da una controllabile documentazione storica.
Il libro dell’Apocalisse, composto di 22 capitoli, è stata scritta in realtà in due
edizioni, la prima costituita da 18 capitoli, uscita nel 68 durante la guerra del 70, e
la seconda, rappresentata dai primi tre capitolo e dall’ultimo, che fu aggiunti nel 95
dagli spiritualisti. Come è logico che fosse, mentre i primi 18, scritti dai
rivoluzionari, sono l’espressione del programma guerriero zelota basato sull’odio e
la vendetta contro Roma e i suoi alleati, i secondi quattro, scritti dagli esseni
spiritualisti, rappresentano tutto il pacifismo di cui costoro si erano fatti ostentatori
dopo la scissione dalla corrente rivoluzionaria.
L’Apocalisse, guardata dalla Chiesa sempre con diffidenza per i suoi concetti
esseno-zeloti, tanto da essere inclusa nei testi canonici soltanto nel VI secolo, è dei
libri sacri quello che più di ogni altro dimostra la non esistenza storica di Gesù.
In entrambe le edizioni, sia in quella del 68 come in quella del 95, si ignora tutto
della vita di Cristo e della sua morte. Il Messia dell’Apocalisse risiede ancora in
cielo, presso il trono di Dio, e quando in un suo capitolo (XII) si parla della sua
nascita lo si fa concepire dalla costellazione della Vergine all’origine dei tempi e,
sempre rimanendo nel mondo dell’astrologia, il Messia dell’Apocalisse è
rappresentato in cielo sotto la forma dell’Ariete, primo segno dello zodiaco che
comanda i destini del mondo, al quale viene simbolicamente associato l’agnello
pasquale biblico dell’Esodo. La discesa del Messia, che si realizzerà, secondo le
visioni riportate dal libro dei Maccabei, nella persona di un condottiero vittorioso su
un cavallo bianco al suono di trombette, annunciata come prossima, non ha nulla a
che vedere con la Passione di Cristo dichiara avvenuta nel 33: lontano dal morire in
croce, egli sterminerà i nemici per sedere su un trono che durerà mille anni. La
Chiesa cerca di dare a questa immagine dei mille anni, come viene detto dalla C.E.I
nel passo introduttivo sopra riportato, il valore simbolico di un messaggio di
speranza nella vittoria finale del Cristo sulle potenze del male, ma basta leggere
bene l’Apocalisse per renderci conto che la distruzione di Roma, simbolo della
corruzione, è annunciata come un fatto reale e non come una profezia.
“Il Messia atteso nell’Apocalisse è il “Figlio dell’uomo” della visione di Daniele.
Lontano dal morire in croce, egli è colui che stabilirà l’impero giudaico sulle rovine
di Roma che non sono procrastinate ad un’epoca lontana e futura, ma previste così
imminenti da rendere assurda ogni altra interpretazione. E l’autore, che ha ripreso
questo messaggio nel 95, non contraddice affatto l’attesa espressa dall’edizione del
68, facendo terminare l’opera su questa promessa da parte del Messia: <<Si. io
verrò presto>>, al che l’autore rispondendo :<<Venite, Signore, venite!>>, dimostra
di ignorare che egli sia già venuto sotto un’altra forma”. (Guy Fau. op. cit. pag. 60).
Come si vede, l’Apocalisse non è che un’ulteriore prova confermante che nel primo
secolo, almeno fino al 95, lontano da ogni forma d’incarnazione, il Cristo è ancora
rappresentato sotto forma di sogni e di visioni.
<<L’Apocalisse non è l’espressione di un solo libro, ma di diversi, di molti. Non
tuttavia unioni di vari frammenti, come per addizione di libri diversi, come Enoch,
ma piuttosto di un libro solo, formato da diverse stratificazioni, come quelle di varie
civiltà quando si scavi al fondo di un’antica città. Dopo una prima rielaborazione di
uno scrittore ebraico di Apocalissi, e dopo altre aggiunte, ebbe la sua versione
definitiva ad opera di Giovanni, il giudeo cristiano, e dopo queste stagioni storiche
il libro fu ancora rimaneggiato e corretto, con aggiunte e ancellature, da editori che
volevano che l’opera diventasse cristiana.
136
Restiamo comunque perplessi, poiché se Giovanni terminò la sua Apocalisse nel 96
d.C., è davvero strano che egli nulla sapesse della leggenda di Gesù, che nulla
avesse assimilato dello spirito dei Vangeli, tutti momenti precedenti al suo testo.
Strana figura, questo Giovanni di Patmos.

La Chiesa, per giustificare il 95 come data da lei assegnata all’Apocalisse, così
commenta il passo dal quale Engels ha tratto la sua conclusione: <<Sette re, cioè
gl’imperi di Augusto, Tiberio, Caligola, Nerone e Domiziano, che esisteva ancora al
tempo di Giovanni. Il poco tempo è il tempo della persecuzione e il settimo impero
è il dominio ostile al regno di Dio, identificato con la fiera>>. (Nota a pag 7
dell’Ap. ed. CEI).
Praticamente, pur di giustificare il 95 come anno in cui fu scritta tutta l’Apocalisse,
ignorando gl’imperatori Galba, Vespasiano e Tito, la Chiesa fa fare un volo alla
testa della bestia numero 5 di ben 25 anni per metterla sulle spalle di Domiziano che
viene considerato come il sesto imperatore. E la settima testa? La settima testa la
ottiene trasformando il redivivo Nerone in “un Impero ostile al regno di Dio” che
incoerentemente viene identificato con l’intera bestia.
Perché la Chiesa insiste ad attribuire all’Apocalisse la data del 95? La risposta è
semplice: se riconoscesse che è stata scritta nel 68, tutta la seconda parte riguardante
Gesù, cioè i 4 capitoli aggiunti, risulterebbe troppo evidentemente un falso per
l’anacronismo esistente tra i concetti espressi nel “Saluto alle sette chiese” nei cap.
1 -2 -3, quali quello dei Nicolaidi, che ancora non esistevano nel 68. Per cui, non
potendo retrodatare l’Apocalisse del 95 al 68, l’ha posdata tutta al 95.
Ma in fondo, cosa potrebbe cambiare in ciò che riguarda l’esistenza storica di Gesù
anche se l’Apocalisse fosse stata scritta tutta nel 95, dal momento che essa esclude
nel suo intero nella maniera più categorica ogni riferimento ad una sua vita
terrestre?
L’Apocalisse è un’opera di guerra che ripete nella maniera più fedele il programma
di sterminio di Roma esposto dagli esseno-zeloti nel “Rotolo della Guerra” ritrovato
negli scavi di Qumran nel 1947. Essa ignora nella maniera più assoluta tutto ciò che
è stato attribuito a Cristo. Ignora Pilato, la crocifissione, i miracoli, la resurrezione,
gli apostoli. Essa, disconoscendo tutti gli altri libri sacri che si riferiscono al
cristianesimo, oltre che ha dimostrare la sua natura giudeo-essena, conferma che i
vangeli, gli Atti degli apostoli e le lettere che la Chiesa afferma esserle
contemporanei, non sono state scritte nel primo secolo ma in date, come vedremo,
molto più tardive.

Se a questo punto mi si facesse rimarcare, come già è accaduto, che l’Apocalisse
conferma l’esistenza di Gesù nel primo secolo perché essa riporta il suo nome tre
volte (le hanno contate), ebbene non posso che rispondere che anche se le volte
fossero state cinquanta o cento, a parte il fatto che nulla potrebbe cambiare di fronte
alle prove portate, il nome di Gesù era largamente usato dagli Essenti nel significato
biblico di Jeosua (Giosué) che significa “colui che salva“ che chiaramente si
riferisce al “Maestro di Giustizia” atteso dagli Esseni.
Infatti il nome di Gesù lo troviamo nel suo significato di umanizzazione che gli ha
dato Madre Chiesa, per la prima volta nel “Discorso Veritiero“ scritto da Celso nel
180 attraverso la confutazione che ne fa Origene riportandone il passo: << Colui al
quale avete dato il nome di Gesù Cristo in realtà non era che il capo di una banda di
briganti i cui miracoli che gli attribuite non erano che manifestazioni operate
secondo la magia e i trucchi esoterici. La verità è che tutti questi pretesi fatti non
sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza pertanto riuscire a dare alle
vostre menzogne una tinta di credibilità. È noto a tutti che ciò che avete scritto è il
risultato di continui rimaneggiamenti in seguito alle critiche che vi venivano
portate>>. (Celso. Discorso Veritiero).

Tutti, ormai, compresa la Chiesa stessa, riconoscono che la Lettera agli Ebrei non è stata
scritta da Paolo di Tarso. L’autore è discusso tra coloro che l’attribuiscono alla scuola
alessandrina (Terapeuti) e quelli che sostengono la tesi di Tertulliano secondo la quale a
scriverla sarebbe stato un certo Barnaba contemporaneo di Paolo di Tarso.
Eccetto qualche interpolazione apertamente manifesta, anche se è considerato uno dei
documenti più antichi perché in essa si fanno allusioni alle cerimonie celebrate nel
Tempio di Gerusalemme che sarà distrutto da Tito nel 70, in essa non c’è nessun
riferimento a una vita terrestre di Gesù. Il Cristo della Lettera agli Ebrei è un
personaggio astratto assimilato a Melchisedec, personaggio della genesi che viene
dichiarato “senza padre, senza madre, senza genealogia e che non ha avuto né principio,
né fine”.
Il Cristo della Lettera agli Ebrei è un essere soprannaturale e non un uomo che è vissuto
sulla terra.
<<La Lettera agli Ebrei, non dice assolutamente nulla dei parenti di Cristo, dei suoi
fratelli, dei suoi discepoli, delle sante donne, nulla dei suoi rapporti con il popolo, i
farisei, i Romani; Nulla del suo arresto, del suo processo e della sua crocifissione. Il
Cristo non è posto in un santuario costruito dagli uomini, ma nel cielo ed ha sostituito il
suo sangue a quello degli animali sacrificati. La croce viene nominata soltanto in due
inserzioni (6-4/8, 12-162) ma evidentemente aggiunte in un secondo tempo come risulta
dalla contraddizione che esse esprimono verso il resto del testo. In definitiva,
ispirandosi essa a un Cristo essenzialmente celeste, la lettera agli Ebrei è da considerarsi
un documento, come l’Apocalisse, contro ogni storicità della vita di Ges-

Vangeli di Marco e di Matteo (pseudo).
Per spiegare cosa significa la parola “pseudo” messa tra parentesi nel titolo, diciamo che
la Chiesa, allorché fece la cernita dei documenti riguardanti la vita di Cristo, una cernita
che tra conferme e ripensamenti si è protratta per secoli se consideriamo che
l’Apocalisse rimase in discussione fino al VI secolo, dopo aver scelto come canonici i
quattro che più gli convenivano, dichiarò tutti gli altri non validi dandogli il nome di
“apocrifi”, se rappresentati da un solo esemplare, e di “pseudo” se invece di esemplari
dello stesso documento ce n’erano due, come nel caso del vangeli canonici che, essendo
rappresentati tutti e quattro da una duplice copia, avranno rispettivamente uno paseudo.
Ma lasciando stare gli pseudo che si riferiscono a Luca e a Giovanni che oltre ad essere
troppo lungo spiegarne le origini è anche di non importanza determinate al nostro scopo
che è quello di stabilire la data dei canonici, prendiamo in esame soltanto lo psedo
Marco e lo Pseudo Matteo.
Un’altra raccolta di sentenze, oltre quelle già considerate nei vangeli di Tommaso,
Filippo ecc.,fu riunita in due libricini che furono attribuiti a due personaggi
147
completamente ignorati dalla storia, Marco e Matteo, che la Chiesa ha dichiarato essere
stati discepoli di Gesù.
Che questi due vangeli siano usciti tra il 135 e il 150 ci viene dal fatto che i relatori di
entrambi dimostrano di essere a conoscenza della distruzione di Gerusalemme avvenuta
nel 135 e che sono nominati da Papia, vescovo di Geropoli intorno al 150, il quale così
li definisce:
<<Marco, interprete di Pietro, redasse esattamente ma senza ordine ciò che ricordava
delle parole del Signore>>.
<< Matteo riunì in ebraico le sentenze del Signore e ciascuno le tradusse come
poteva>>.
Quale dei due pseudo vangeli sia stato scritto prima non si può sapere con certezza
anche se è convinzione generale che quello di Marco sia stato il precedente.
<<Quale dei due è stato scritto prima dell’altro? Quasi tutti sono d’accordo ad attribuire
la precedenza a quello di Marco per il fatto che tutti gli altri lo citano o lo ricopiano. In
realtà, tenuto conto degli arrangiamenti ulteriori, questa prova non può essere
considerata decisiva. Ma poco comunque importa dal momento lo scarto fra i due è
assolutamente minimo>>. (Guy Fau. op.cit.pag. 89).
Infatti quello che c’interessa di questi due libricini è il poter trarre da essi le prove
dimostranti che i vangeli canonici a loro attribuiti non sono stati scritti negli anni 40-50
(Matteo) e negli anni 60-65 (Marco) come la Chiesa sostiene, ma soltanto dopo il 150, e
non da testimoni presenti ai fatti ma da falsificatori che, come vedremo nel capitolo dei
vangeli canonici, nulla avevano a che vedere con il mondo ebraico e tanto meno con la
Palestina.
Vangelo di Papia.
Questo vangelo, scritto da Papia, vescovo di Geropoli, fu presentato da lui
personalmente nel 135 alla comunità essena di Roma sotto il titolo di “Detti e Sentenze
del Signore”, ma non ebbe una favorevole accoglienza perché riconosciuto, come scrive
S. Eusebio, “poco intelligente nelle sue espressioni”, espressioni che, se risultano
sciocche ed assurde sul piano concettuale, assumono invece una grande importanza su
quello storico perché ci fanno capire quanto la figura di Cristo fosse ancora così teorica
ed astratta nella prima metà del II secolo.
Prendendo spunto dal passo dell’Apocalisse (22.2) nel quale si dice che “in mezzo alla
piazza di Gerusalemme si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti
ogni mese “, Papia trasse così una delle sentenze riportate nel suo vangelo: <<Il Signore
disse che presto ci saranno vigne di 10.000 tralci che porteranno ciascuno 10.000
ramificazioni aventi ognuna 10.000 grappoli formanti ciascuno 10.000 acini e ogni
grappolo produrrà 10.000 litri>>.
La frase, anche se non merita commento per la sua idiozia, assume comunque una
estrema importanza se si considera che colui che ci parla così di Gesù è un ecclesiastico
che ricopre la carica di vescovo presso la comunità di Geropoli in Frigia (Asia Minore
culla dell’essenismo spiritualista gnostico). Se non dovesse essere sufficiente la
demenza di questa sentenza per dimostrare quanto fosse ancora sconosciuta
l’incarnazione di Cristo, allora aggiungeremo che Papia, stando a quanto afferma lo
storico cristiano Mons. Duchesne nel suo libro “Storia della Chiesa” (cap.I, pag 143, Ed.
Paris 1910), disconoscendo ogni morte sulla croce, sosteneva ancora nel suo vangelo
che Gesù era deceduto in “età avanzata”.

Le Lettere di Paolo e gli Atti degli Apostoli.
Intanto cominciamo col dire che le lettere portate da Marcione alla comunità essena di
Roma nel 140 insieme al suo vangelo, dicendo che le aveva scritte un certo predicatore
siriano di nome Paolo il quale aveva conosciuto l’apostolo Pietro diretto testimone della
vita di Cristo, non furono 14, come la Chiesa sostiene, ma bensì 10 aggiungendo ancora
che di queste dieci soltanto 4 possono essere attribuite a Paolo se le confrontiamo con
161
gli argomenti che potevano essere discussi alla sua epoca, cioè nella seconda metà dal I
secolo.
<<Le lettere, da quanto risulta dalle ricerche filologiche e storiche e di confronto
eseguite dalla scuola di Tubinga, attribuibili a Paolo, sono soltanto quattro: La lettera ai
Romani, ai Galati, e le due ai Corinzi>>. (Josif Kryevelev. Analisi storico critica della
Bibbia. Cap.9).
Affermazione che viene confermata in maniera più specifica dal Circolo Renan: <<Le
lettere portate a Roma da Marcione non furono 14, come la Chiesa sostiene, ma soltanto
10 e che soltanto 4 di queste possono essere attribuibili all’epoca in cui visse Paolo
(lettera ai Romani, ai Galati e le due ai Corinzi) da quanto è risultato da uno studio
esegetico dei concetti espressi in esse e confermato da un ‘analisi elettronica eseguita
sul vocabolario dei testi, eccezion fatta per i passi interpolati in epoca tardiva che
risultano numerosissimi anche in queste>>. (Renan -S.Paolo introd.).
E perché ci si possa predisporre a riconoscere tutte le falsificazioni che furono operate
sugli scritti di Paolo, aggiungiamo ancora che le quattro di cui si parla, risultano a loro
volta così manipolate e contraffate da portare Goguel ad affermare che le due lettere ai
Corinzi sono un assemblaggio di sei altre lettere mal ricucite (Nuovo Testamento. intr.),
e Renan a riconoscere (S. Paolo. intr.) insieme a Turmel e De La Fosse (Rieder. pag 16),
che nella lettera ai romani ci sono ben 5 finali.
Se tante sono le contraffazioni eseguite sulle 4 lettere che possono essere ritenute
autentiche, possiamo ben immaginare di che cosa siano composte le altre dieci che
furono scritte in seguito dai supportatori delle varie correnti che si servirono del suo
nome per sostenere ciascuna il proprio Cristo, senza parlare delle ultime quattro che
furono sicuramente redatte dopo il 140 non essendo tra quelle portate a Roma da
Marcione.
<<Bruno Bauer e altri rappresentanti della scuola olandese (A.D.Loman, A.Pirson ed
altri), già ammisero al loro tempo che le lettere di Paolo non potevano essere
assolutamente considerate autentiche come non lo sono quelle che sono state attribuite a
Giovanni, Pietro e Giuda. Non si tratta infatti di lettere ma di trattati teologici scritti
posteriormente al periodo nel quale si dice che essi siano vissuti. La forma epistolare gli
fu data per aumentarne l’autorevolezza e per questo motivo furono usati i nomi degli
apostoli>>. (J. kryevelev. op. cit. cap.9)..

Comunque una cosa è certa: per quanto questi Cristi potessero essere differenti l’uno
dall’altro, essi sono rappresentati tutti da visioni. Siamo nella seconda metà del I secolo
e per nessuno, a qualsiasi corrente appartenga, il Messia si è incarnato, compreso Paolo
che, da buon seguace del Logos di Filone, riferendosi al proprio, dichiara
espressamente: <<Il vangelo da me annunciato non è modellato sull’uomo; io infatti
non l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo (la voce)>> (Gal.1, 11),
e ancora, per coloro che non avessero capito come il Paolo primitivo, quello del primo
secolo, disconosca ogni forma di umanizzazzione di Cristo, riporto ancora le seguenti
sue affermazioni: <<Nessuno Può dire che Gesù è il Signore se non sotto l’azione della
Spirito Santo>>. (I Cr.2,3); << Tutti coloro che sostengono un altro Cristo differente dal
163
mio sono falsi apostoli, operai fraudolenti che si mascherano da apostoli di Cristo. Ciò
non fa meraviglia, perché satana si maschera da angelo di luce>>. (II Cr. 11,13).

Nella Legge di Mosè c’è scritto: <<Nessuno tra voi mangerà sangue, neppure lo
straniero che soggiorna mangerà sangue di nessuna specie di essere vivente perché il
sangue è la vita, né carne di bestia morta naturalmente o soffocata>> (Lv. 12,14) e i
seguaci della comunità di Gerusalemme confermano il loro giudeo-essenismo
imponendo ai convertiti pagani ancora una volta le loro patrie leggi: <<Quanto ai pagani
che sono venuti alla nostra fede, noi abbiamo deciso che si astengano dal sangue e da

ogni animale morto naturalmente o soffocato>>. (At. 15,19).

Il Paolo cristiano.
(Di Santa madre Chiesa).
Vista la predisposizione di Paolo a seguire come fantasma l’evoluzione cristologica, non
proveremo certo meraviglia a ritrovarcelo tra i piedi nella seconda meta del II secolo
quale ardente difensore del Cristo uomo nato da donna la cui incarnazione sarà alla base
della nuova religione che prenderà il via con il nome di “cristianesimo di Madre
Chiesa”.
In seguito alla separazione degli esseni di origine ebraica dagli esseni di origine pagana
determinata dall’istituzione del sacramento dell’Eucaristia, la comunità di Roma, nella
decisione che aveva preso di dare al proprio Cristo l’incarnazione, respingendo ogni
teoria gnostica, espulse Marcione dichiarandolo eretico pur conservando il suo vangelo
e le lettere di Paolo per costruire attraverso di essi, come abbiamo visto, i propri vangeli
e la propria dottrina. Ma per quanto possano aver operato per trasferire al cristianesimo
nascente la storicità della religione essena, le falsificazioni, le sovrapposizioni e le
interpolazioni che eseguirono su di essi non furono sufficientemente così curate da
eliminare tutte quelle contraddizioni di cui sono piene, contraddizioni e anacronismi che
ci permetteranno di dimostrare che il Cristo incarnato viene costruito tale soltanto dopo
l’espulsione di Marcione dalla comunità di Gerusalemme avvenuta nel 144.
La Chiesa, quale nuova religione sorta dopo il 150, non avendo documenti dimostranti
l’esistenza di Cristo e dei cristiani negli anni precedenti a questa data, cercò di
procurarseli (come ancora sta facendo attraverso le manomissioni che tenta di operare
sui manoscritti del mar Morto) ricorrendo ad ogni sorta d’imbrogli: falsificarono gli
autori contemporanei, quali Giuseppe Flavio, Filone, Tacito, Seneca ed altri,
s’inventarono autori a cui furono attribuiti vangeli e testi ricavati da fonti essene e
pagane, bruciarono le testimonianze che si opponevano ai loro intrighi, usurparono agli
esseni spiritualisti i loro concetti religiosi, i loro usi comunitari e lo stesso appellativo di
cristiani che gli era stato dato dai pagani sia pur con un significato dispregiativo.
Costruirono su Giovanni il Presbitero (Cerinto), nato e vissuto a Efeso e quivi morto nel
135 la figura di Giovanni l’evangelista, trasformarono l’escatologia guerriera
dell’Apocalisse, nel suo concetto di realizzazione imminente, nell’attesa di un giudizio
universale che si realizzerà alla fine dei tempi, fecero diventare cristiano Filone, si
appropriano dei martiri del movimento rivoluzionario giudaico facendoli passare per
propri e, soprattutto, cercano di far sparire ogni traccia degli esseni la cui esistenza
avrebbe ridicolizzato ogni intromissione di cui avevano bisogno per darsi una base

storica.

Fra i tanti personaggi che vengono usati dalla Chiesa come testimoni dell’esistenza di
Gesù, se Paolo assunse una importanza predominante ciò dipese soprattutto dal carisma
che gli venne da Marcione che lo presentò come personaggio storico, carisma di
predicatore che, dichiarato esistito al tempo di Pietro e Giacomo, avrebbe costituito una
garanzia di verità su tutto ciò che gli si sarebbe fatto dire.
Falsificando le Lettere che Marcione aveva portato con se dalla Siria insieme al suo
vangelo e aggiungendone altre, il Paolo, prima filoniano e poi gnostico, fu
spudoratamente trasformato dalla Chiesa nel sostenitore di un Cristo incarnato
facendogli scrivere nel prologo della Lettera ai Romani, che poi è l’introduzione a tutte
le Lettere: << Io sono Paolo, servo di Dio, apostolo per vocazione, prescelto per
annunziare il vangelo di Dio riguardo al figlio, nato dalla stirpe di Davide secondo la

carne >>. (Rm. 1,1).

BREVE RIEPILOGO SULLA STORICITÀ DEI TESTI SACRI
Essi sono posteriori al 150 perché:
a) Marcione, autore di due apologie sul cristianesimo, ignora nel 160 l’esistenza del
vangeli facendo allusione soltanto a frasi e detti del Signore che definisce “corte e
laconiche”.
b)Marcione, continuando a difendere il suo Cristo gnostico dopo l’espulsione dalla
comunità di Roma, accusa, intorno al 170, i vangeli che erano stati costruiti servendosi
del suo, di essere dei falsi attribuiti in forma fraudolenta a personaggi e apostoli dei
tempi apostolici: <<Sub apostolorum nomine aduntur et etiam apostolicorum>>. (
Tertulliano. Adversus Marcionem - IV,3).
Non può che riferirsi a quelli di Marco e di Matteo che furono i primi ad uscire.
c) Giustino, morto nel 165, ignora gli Atti degli Apostoli.
d) Non c’è nessuna allusione a nessuno dei vangeli canonici nella “Lettera di Barnaba”
scritta nel 140, né nel “Pastore di Ermas” scritto nel 150, né nella “Lettera ai Corinti”
scritta da Clemente nel 150 nella quale si parla della passione di Cristo non come fatto
storico ma come una profezia che si è realizzata secondo il profeta Isaia.
e) Nel Didaché, documento risalente al secondo secolo, scoperto nel 1875, vi si trova la
formula del “Pater noster” e il “Sermone della Montagna” (entrambi di origine essena)
ma nulla che parli dei 4 vangeli. (Documento prettamente esseno).
f) Il primo che parla chiaramente dei 4 vangeli è S. Ireneo nel 190. Infatti Luca e
Giovanni furono scritti dopo Marco e Matteo.
<<Questo silenzio da parte di tutti gli autori, sia cristiani che profani, riguardo i vangeli,
è la migliore prova della data tardiva della loro redazione. Il Concilio vaticano II per
quanto abbia riaffermato le date attribuite ai vangeli, nulla ha cambiato alla verità
storica, avendole imposte come verità di fede>>. (Guy Fau- Opera citata, pag. 84).
I vangeli canonici non sono stati scritti da testimoni oculari che vissero in Palestina, né
tantomeno da ebrei quali erano gli autori ai quali sono attribuiti, per i troppi errori
geografici che contengono e l’assoluta ignoranza delle leggi Bibliche. Soltanto Edel
Smith ha contato in essi ben 250 errori (opera già citata) e tutti così gravi da rendere
inutile ogni commento sulla loro falsità di costruzione.
I Testi Sacri non sono che una composizione di episodi riferentisi a fatti e detti esistenti
già da prima dell’epoca attribuita a Gesù, una vera e propria ricopiatura dei libri Esseni
e del Vecchio Testamento così fedele da portare Steudel a lanciare la seguente sfida ai
teologi cristiani: <<Sarei riconoscente a quel teologo che mi portasse una sentenza o un
fatto che si riferisce a Gesù del quale io non possa dimostrare che già esisteva sin da
prima che lui nascesse>>. (Guighebert- Gesù- pag.49). Nessuno si è fatto avanti!
Prendendo spunto dai vangeli attribuiti ai quattro evangelisti, una volta confermata la
natura umana di Cristo, a cui fu dato il nome di Gesù soltanto nella seconda metà del
secondo Secolo, ogni comunità passata alla corrente materialista, costruì il proprio

vangelo.

Alla domanda che a questo punto sorge spontanea su come abbia potuto imporsi sulle
altre una religione così basata sulle più assurde incoerenze e i più evidenti anacronismi,
la risposta ci viene fornita dalle violenze che la Chiesa essa cominciò a praticare contro
gli oppositori dopo che Teodosio nel 380 la dichiarerà religione di Stato affidandole
l’amministrazione morale dell’Impero. In un continuo di persecuzioni, di ricatti, di
anatemi e scomuniche si fecero stragi di tutti gli oppositori i cui milioni di cadaveri
furono ammucchiati e nascosti nei secoli che seguirono dietro quella croce che oggi si

pretende farla passare per il simbolo di civiltà e di cultura occidentale.

<<Non abbiamo bisogno di prove per credere all’esistenza di Cristo>>, affermano i
credenti nella convinzione di poterne sostenere la figura umana invocando la fede,
intanto che i miscredenti e gl’indifferenti dileggiano la mia querela affermando che il
Cristianesimo continuerà comunque a perdurare come le dottrine di Budda, di Confucio,
di Maometto, le opere di Omero e gl’insegnamenti di Socrate, anche se venisse
dimostrato che questi non sono mai esistiti.
Questo è l’errore! Paragonare il Cristianesimo a tutte le altre dottrine o religioni che, a
differenza di esso, il quale si basa su un fatto dichiarato reale, possono essere seguite nei
loro insegnamenti anche se i loro fondatori risultassero dei miti.
Il Cristianismo, a differenza del Buddismo, Ebraismo, Islamismo e di ogni altra
religione politica o sociale che termina in “ismo”, le quali seguono teorie comunque
difendibili da personali convinzioni, si basa essenzialmente su un fatto concreto:
l’esistenza storica di un uomo chiamato Gesù Cristo.




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